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I SEGRETI DI MAMALIA

Di Luana Aimar

 

Mamalia è una grotta nei pendii erbosi sopra alla Porta di Prada, ad appena un centinaio di metri in linea d’aria dall’abisso Paolo Trentinaglia. La cavità viene individuata nell’inverno del 1991 da elementi del Gruppo Grotte Milano (GGM) quando ancora era un “buco soffiante in mezzo alla neve”. L’ingresso viene aperto con varie sedute di scavo ed anche il primo tratto della grotta - quasi tutto in frana - richiede parecchio lavoro agli speleologi di turno.

Finalmente nel 1992 la grotta si apre e viene così esplorata fino alla profondità di 114 metri, per uno sviluppo complessivo di 220 metri circa. Il rilievo di Mamalia, l’unico documento di cui disponiamo, ci presenta una grotta molto lineare: una condotta principale in costante discesa intervallata da quattro pozzetti di profondità limitata. Girano inoltre voci che le possibilità esplorative della grotta siano pressocchè nulle, legate soltanto alla risalita di alcuni camini poco promettenti. In parole povere, ciò che sappiamo di Mamalia non è certo entusiasmante, ma nel Giugno 2007 alcuni elementi dello Speleo Club Erba pensano che valga la pena dare lo stesso un’occhiata…

 

I CRISTALLI “MAMALIANO

(17 Giugno 2007)

In un periodo della mia vita che stento a definire sereno, mi lascio convincere da Carlo e Antonio a fare un giro di ricognizione in Grigna nella grotta Mamalia. Entriamo sotto il cielo grigio di una domenica uggiosa. L’ingresso è stato interamente scavato e sul pendio sono disseminati i sassi e le rocce che un tempo ostruivano l’accesso alla cavità. Avanza in testa Carlo, Antonio chiude la squadra. Ci intrufoliamo in passaggi in frana decisamente scomodi, quindi è il turno delle Strettoie BIM BUM BUM che ci consegnano ad un ambiente più consono alle nostre dimensioni. Finalmente in piedi, scendiamo un pozzetto di pochi metri e sotto torniamo a paciugarci nelle frane. Adesso è il momento della frana più grande, il passaggio è inequivocabilmente uno, non molto stretto, ma scomodissimo. I blocchi di roccia in questo punto sembrano avere tante manine e si divertono ad afferrare lo speleo di turno nei punti più svariati, dall’imbrago alla bombola, dal pettorale al tubo dell’acetilene. Ma ormai è l’ultimo ostacolo!

Carlo sbuca in un ambiente piuttosto ampio e, mentre io ancora annaspo nel franone, lui individua la via che va lungo una corda che risale tra massi di frana. Nel rilievo del GGM non sembrerebbero esserci risalite, ma decidiamo lo stesso di dare un’occhiata. La corda ci conduce in un ambiente ampio e qui una nuova corda risale di una decina di metri ad una finestra. Risaliamo anche questa e sbuchiamo in una ambientino che non sembra promettere grandi prosecuzioni. Mentre Carlo e Antonio perlustrano le pareti del pozzo-camino alla ricerca di finestre promettenti, il mio sguardo cade su un anonimo meandrino sulla sinistra e, nell’attesa degli altri due, decido di dargli un’occhiata. Arrampico un paio di metri appena, e scopro con stupore che l’ambiente allarga. Esattamente in faccia a me sbuca un cunicoletto parzialmente intasato di massi di frana, ma oltre si intuisce chiaramente il nero. Chi prima di noi ha fatto la risalita in questo posto nemmeno si è dato pena di tentare il passaggio! Ripulisco brevemente del materiale più fine, quindi giudicato sufficiente il varco mi infilo tra il soffitto ed un grosso masso incastrato. Striscio su per uno scivoletto di massi in frana, quindi volto a destra e mi ritrovo in piedi. Una fessura si alza verticale per tre metri; salgo quel tanto che basta a guardare fuori: l’ambiente, alto qualche metro, continua sia a destra che a sinistra. Decido che è venuto il momento di Carlo e lo chiamo. Non passa neanche un minuto che vedo comparire la sua luce tra i blocchi di frana, poi sullo scivoletto indugia un poco, lo sento imprecare e litigare con un sasso. D’improvviso Carlo passa ed il masso si rovescia occludendoci la via del ritorno. Ma ci penseremo dopo, adesso c’è da esplorare! Carlo risale la fessura dove mi sono fermata e sbuca in un meandro il cui pavimento è in parte anche il mio soffitto. Lo percorre brevemente, quindi arrampica tra massi instabili di frana, supera una strettoietta e sbuca in una sala di 6metri per 6. Mi descrive gridando gli ambienti che ha appena esplorato ed io a mia volta urlo le novità ad Antonio, che aspetta sopra alla risalita perché si guarda bene dal venire a cacciarsi in questi luoghi instabili. Quindi decido di raggiungere Carlo e risalgo la fessura. Ritrovo il compagno nella sala, a terra non sembrano esserci ulteriori prosecuzioni e studiamo le pareti alla ricerca di finestre. Ne individuiamo una a dieci metri circa da noi, ma sarà lavoro di un’altra volta, adesso l’importante è tornare indietro. Riguadagniamo lo scivoletto in frana e giungiamo al cospetto del masso malefico che vuole impedirci di uscire a svelare al mondo esterno i segreti della grotta. Non abbiamo né leverino né trapano, ed il masso non può certo essere sollevato a braccia! Carlo trova comunque un buon punto su cui fare leva, ma insieme al masso muove anche mezza frana col rischio di causare un crollo ben più grave… Vi basti sapere che alla fine, dopo svariati tentativi, riesce a spostare il masso quel tanto che basta per creare un varco tra la parete ed il masso stesso. Lui passa al limite, con un braccio avanti e uno dietro e senza caschetto. Viene il mio turno. Provo a passare ma mi incastro di sedere. Tolgo la bombola, ma mi incastro lo stesso. Ho paura a forzare perché temo di muovere il masso che inevitabilmente si appoggerebbe su di me con tutto il suo peso. Carlo mi guarda e cerca di consigliarmi, ma non ricorda in che posizione è passato lui. Alla fine provo a lasciarmi scivolare a pancia in su ed incredibilmente passo senza il minimo sforzo! Finalmente fuori dalla frana, ci ricongiungiamo ad Antonio ed insieme abbandoniamo quei luoghi instabili.

La via del fondo non passa dal ramo che abbiamo appena percorso ed in breve scopriamo che lì dove abbiamo risalito la prima corda c’è invece un passaggio a destra. Un saltino di un paio di metri ci adagia su uno scivolo che ben presto cede il posto a Volere Volare, un P17. Il pozzo è ampio e a metà circa presenta due vistose finestre tonde: una ad appena tre metri dalla corda, l’altra invece dalla parte opposta. Alla base l’ambiente è complesso, ed in fondo ci siamo già resi conto che l’intera cavità non è l’ambiente semplice e lineare che appare nel rilievo. Guardiamo di qua e guardiamo di là, la via del fondo dove sarà? Antonio si intrufola strisciando in ambienti tra argilla e soffitto finchè la via non diventa intransitabile; Carlo tenta in un altro punto, piuttosto fangoso, ma storce il naso e decide di tornare indietro; io mi arrampico ad una nicchia e constato che finisce lì. A questo punto ci viene il dubbio che la prosecuzione della grotta passi dalla finestra a metà pozzo e Carlo parte subito in avanscoperta. Risale su corda fino all’altezza giusta, quindi cammina su una comoda cengetta, e con un passo lungo è dentro alla finestra. Scompare. Quando riappare, dieci minuti dopo, ci grida che secondo lui c’è da esplorare: l’ambiente continua, l’aria è notevole e non ha trovato alcuna traccia di passaggio. “Figurati! - gli gridiamo io e Antonio - guarda che quella è la via del fondo! E poi vuoi che non siano entrati in una finestra tanto semplice ed evidente?”. Ma Carlo insiste e, senza farci pregare ulteriormente, lo raggiungiamo anche noi. Ci ritroviamo in una galleria di belle dimensioni che prosegue sia davanti che a sinistra (Gallerie “Sono sempre loro!”). Carlo ci fa strada: nel primo tratto il pavimento è ingombro di massi di frana, quindi il soffitto si abbassa bruscamente e ci ritroviamo a strisciare su sabbietta asciutta e morbidissima. “La sabbia era assolutamente vergine” spiega Carlo. L’aria soffia nettissima. Sbuchiamo in una sala col pavimento ingombro di massi di frana, l’aria si infila tutta su per un camino di sei o sette metri. La prosecuzione più evidente è un franoso meandro in discesa. Pur eccitati, lo scendiamo con cautela per non scaricarci addosso massi a vicenda. Un paio di balocchi hanno sbarrato il cammino a Carlo in precedenza, ma è lavoro di pochi minuti e possiamo procedere nel meandro. Ci fermiamo in corrispondenza di un pozzetto con la partenza ostruita dalla frana, ma si tratta di un lavoro semplice che rimandiamo ad una prossima uscita.

Ritorniamo più che soddisfatti sui nostri passi: adesso abbiamo la certezza che l’intera finestra era rimasta inesplorata e la via del fondo era nel posto fangoso alla base del P17 dove si era infilato Carlo. Ma ancora non ci basta! Tornati alla finestra Antonio si dirige nel ramo di sinistra e constata che la galleria continua. Lo raggiungiamo e tutti insieme sbuchiamo di nuovo su Volere Volare: ci siamo affacciati sulla seconda finestra del pozzo! Il ramo di sinistra non fa altro che un giro intorno al pozzo e mette in comunicazione tra di loro le due finestre.

Veramente non avremmo saputo che altro chiedere alla grotta, ma Mamalia celava per noi un’altra incredibile sorpresa. Ancora nel ramo di sinistra, noto un diverticolo basso e tondeggiante, quasi sicuramente una nicchia, ma decido di dargli un’occhiata lo stesso. Striscio brevemente su sabbietta asciutta mista ad argilla, sento uno “spungicchiamento” su pancia e gambe, quindi il soffitto si rialza e riesco a mettermi in ginocchio. Sono nella nicchia. Mi guardo intorno… e i miei neuroni dichiarano il corto circuito. Il pavimento su cui mi trovo, le pareti, finanche il soffitto sono completamente ricoperti da cristalli di calcite bianchi e di forma perfetta, lunghi 10 persino 15 centimetri! Le punte dei cristalli svettano in ogni direzione e spuntano persino dalla sabbia e dall’argilla su cui sono strisciata. Ecco cos’era il pungere che avvertivo! Nel mezzo del pavimento è appoggiato un sasso anch’esso completamente ricoperto di grossi cristalli. E’ la prima volta che mi capita una cosa del genere, l’avevo letto varie volte sui libri ma mi rendo conto che la sensazione che provo non può essere spiegata a parole.

Impiego un minuto per rimettere insieme il cervello, quindi chiamo gli altri che nel frattempo si sono allontanati e grido loro quello che ho scoperto. “Esagerata!” mi sento rispondere in coro. Insisto, e finalmente Antonio e Carlo mi raggiungono e vedono i cristalli che mi circondano. Partono esclamazioni ed imprecazioni, i due preferiscono non entrare nel “geode sotterraneo”, come l’abbiamo battezzato, ed io cerco di illuminare loro tutti gli angoli dell’ambiente in cui mi trovo. “I cristalli mamaliano” mi scriverà Carlo in un SMS il giorno dopo. Quindi saluto il geode sotterraneo e facendo attenzione a non toccare nulla torno nella galleria.

E’ quasi sera quando raggiungiamo l’uscita. Fuori mi aspetta il pendio erboso, il cielo grigio ed il calcare chiaro della Grigna. Il mondo esterno non è cambiato ed i miei problemi sono ancora tutti lì, in perfetta fila. Ma oggi per qualche ora ho vissuto in una favola ed in quei momenti per me non è esistito nient’altro.

 

Il week-end successivo Carlo, Johnny ed Elettra si recano al meandro in discesa che si diparte dalla sala dei Rami “Sono sempre loro!”. Disostruiscono il pozzetto e riescono a proseguire, sempre in netta discesa. Purtroppo soltanto una trentina di metri avanti vengono fermati da una frana notevole. La via principale della grotta non passa di lì, ormai non ci sono più dubbi: la risalita nel salone è la chiave di volta di Mamalia.

 

RAMI DEI CANNIBALI    

(15 Luglio 2007)

Antonio ed io siamo riemersi da Mamalia da appena sedici ore - è stata un’uscita interamente di rilievo - e già ci ritroviamo davanti all’ingresso della grotta in compagnia di Carlo e Roby per continuare l’esplorazione. Raggiungiamo rapidamente il salone dei Rami “Sono sempre loro!” e finalmente veniamo “a tu per tu” con la risalita che si ciuccia tutta l’aria della grotta. A dire il vero non faccio neanche in tempo a fare due tiri di rilievo tralasciati il giorno prima che Carlo è già una decina di metri sopra di noi, il tutto senza piantare neanche un fix ovviamente. “Qui sopra l’ambiente è grande! - ci grida Carlo, e la sua voce rimbomba - Adesso traverso sulla sinistra e vi faccio salire”. Pochi metri ed ancor meno fix, ed il nostro eroe poggia i piedi in una grande galleria dal pavimento ingombro di massi di frana (Ramo dei Cannibali). Tutta l’aria continua a salire ancora più su, là dove il camino prosegue, e Carlo capisce che l’ambiente in cui si trova non è il gigante la cui esistenza abbiamo ipotizzato dallo studio delle correnti d’aria, ma un di più.

Ben presto lo raggiungiamo, l’ambiente su cui poggiamo i piedi è veramente ampio, orizzontale, e Roby scatta in testa in esplorazione. La galleria si sviluppa grande e sfocia in un pozzo valutato di otto metri (P8). Mentre Antonio si dedica all’armo, Carlo e Roby traversano in libera sul suo bordo: oltre la galleria continua ancora per un breve tratto, quindi chiude inesorabilmente. E’ ancora una volta Roby che vince la premiere e scende in esplorazione la nuova verticale: atterra su un soffice pavimento di sabbia asciutta. A sinistra un debole arrivo d’acqua, davanti soltanto degli stretti spiragli tra sabbia e parete. Mentre noi lo raggiungiamo uno ad uno, Roby individua un punto promettente - uno strettissimo passaggio nella sabbia - e comincia a scavare. Sembra esserci aria, ed oltre uno stretto cunicoletto che prosegue. Antonio si infila strisciando alla sua destra, in un passaggino laterale, ma constata che chiude dopo pochi metri. Esce e contempla Roby che, in mancanza d’altro, scava usando una pietra piatta a mò di zappa nella sabbia. Sembra un’immagine estremamente didattica, la prova incontestabile che gli Homini abili non si sono estinti e continuano a vivere tra noi…

Pochi minuti ancora e Roby si sfila bombola e caschetto. “Provo a passare” dichiara a noi che, forti della saggezza tipica dell’Homo sapiens sapiens, nemmeno ci scomodiamo. “Ma dove vuoi andare di là?”. Quindi lo vediamo infilarsi di piedi, venire inghiottito gradualmente dal buco terroso appena allargato e d’improvviso sparire. Mi affaccio anch’io: Roby è oltre, gli passo il caschetto e lo vedo strisciare avanti nell’argilla asciutta. Adesso dalla strettoia giunge soltanto la sua voce. “Continua…c’è un pozzo…diventa grande…venite!!!”. Nonostante lo scetticismo iniziale, non ci facciamo ripetere l’invito una seconda volta. Mi butto nel buco io per prima, subito seguita in successione da Carlo e Antonio. Mi infilo di piedi, quindi riesco a girarmi e a procedere di testa nel cunicoletto d’argilla. Striscio per pochi metri ed inaspettatamente sbuco in un’ampia galleria da una finestra ad un paio di metri d’altezza. Il cambiamento così brusco è davvero inaspettato. La galleria prosegue sia a monte, in leggera risalita, che a valle. La voce di Roby arriva decisamente dal basso. Un salto di circa cinque metri (P5) ed un breve meandro in cui si cammina lo hanno condotto alla partenza di un bel pozzo, valutato di una decina di metri, con un diametro di 6x6 metri. Sopra al P5, spostato sulla destra, individuo un ampio ambiente. Carlo traversa ed arma con una corda ed arriva ad affacciarsi sempre sul P10, da un’altra prospettiva. Ma non abbiamo più neanche un metro di corda... Alla base della verticale guardiamo smaniosi una galleria che occhieggia maliziosa e ci porge il biglietto d’invito per la prossima volta.

 

RAMI DELLO SCACCIAPENSIERI

(21-22 luglio 2007)

L’esplorazione sicura richiama un sacco di gente. Il week-end successivo davanti all’ingresso di Mamalia si presentano infatti Carlo, Marzio, Corvo, Roby, Johnny, Antonio ed io dello Speleo Club Erba, mentre il Gruppo Grotte Milano è rappresentato dal Giovane Marconi, Luca e Barbara. Partiamo in testa Corvo, Antonio, Roby ed io, mentre il resto del gruppo segue ad una certa distanza. Purtroppo al momento di entrare Marzio prende un brutto strappo alla schiena mentre fila la corda nel sacco, ma si trascina lo stesso dolorante in grotta. Giunti nella sala della risalita ci dividiamo: Corvo, Antonio ed io ci dirigiamo al fondo del meandro esplorato in precedenza da Carlo, Johnny ed Elettra per rilevarlo e disarmarlo; Roby, solo soletto ma armato di paletta risale nei Rami dei Cannibali per allargare il passaggio che lui stesso ha disostruito la settimana prima, in attesa dell’arrivo del resto del gruppo.

Una volta giunti in fondo al meandro, restiamo piuttosto incerti se disarmare il ramo o no. Infatti la frana terminale appare meno massiccia di quanto ci era stato raccontato e Corvo cerca ripetutamente di spingersi in una strettissima fessura ventilata che sembra promettere una prosecuzione. Invano. Alla fine prevale in noi il desiderio di recuperare le corde per spostarle nel ramo che stiamo esplorando, e risaliamo rilevando e disarmando. Scopriremo in seguito che abbiamo fatto bene: i dati del rilievo inseriti in Kompass mostrano chiaramente che il ramo ricongiunge con parti già note della grotta.

Quando raggiungiamo la sommità del P10 è ormai trascorsa qualche ora, pensiamo che gli altri siano già avanti in esplorazione, invece li ritroviamo alla base del pozzo. E per di più non hanno rilevato niente! Carlo è in testa all’armo delle verticali successive, il Giovane Marconi è impegnato a scattare fotografie a destra e a manca, Marzio invece è decisamente messo male. Roby ha compiuto un ottimo lavoro di paletta ed il passaggio stretto alla base del P8 è ora decisamente più agevole.

L’ambiente alla base del P10 è piuttosto complesso: sulla destra un meandrino si sviluppa per un tratto, quindi chiude inesorabilmente; sulla sinistra invece parte la “via buona”. Uno stretto passaggio dà accesso ad un saltino, l’ambiente sotto torna subito ampio. Nuova strettoia e nuovo saltino, questa volta decisamente scampanante, quindi atterriamo su un comodo terrazzo. Davanti un nuovo pozzo, a destra, risalendo un paio di metri, ci ritroviamo in un ampio salone, decisamente inaspettato. Roby scende in libera uno sfondamento di qualche metro, si infila in una galleria dal pavimento di argilla che retroverte finchè una strettoia facilmente disostruibile lo convince a tornare indietro. Il Giovane Marconi si infila come un ossesso in tutti i pertugi che trova, compresi i più improbabili, senza lasciare nulla di inguardato. Intanto Carlo prosegue ad armare le verticali che si susseguono dopo il terrazzo, ma la sua corsa dura poco. Dopo altri due pozzetti comodi e decisamente belli, atterra in una saletta toppa. Su un lato parte uno  scomodo meandrino in netta discesa. Si infilano a turno Antonio, Corvo e Roby, armati di mazzetta, passano un paio di strettoie, ma alla fine sono costretti a desistere. Hanno percorso in tutto una trentina di metri.

A questo punto quasi tutti decidono di uscire e di lasciare ai gonzi che rimangono l’onere del disarmo, del rilievo e del trasporto della maggior parte dei materiali trascinati sin qua. Restiamo a guardarci in faccia Carlo, Antonio ed io. Poco per volta si smorzano i rumori dei compagni che risalgono e la grotta resta insolitamente buia e silenziosa. Fuori, nel mondo esterno, cala il sole e cominciano le tenebre…e se non lo sapeste la notte porta consiglio ed esplorazione per lo speleologo! State un po’ a sentire! Io ed Antonio ci dedichiamo al rilievo del ramo appena esplorato, che abbiamo battezzato Ramo dello Scacciapensieri; Carlo chiude il trio e risale disarmando dietro di noi. Giunti al terrazzo da cui si può accedere al salone laterale, decidiamo di interromperci e di fare un giretto. Antonio scompare nello sfondamento in cui precedentemente era sceso Roby e percorre lo stesso meandro che retroverte fino alla strettoia che aveva fermato il nostro compagno: oltre l’ambiente è grande! Ricompare anelando una paletta. Questa volta scendiamo tutti e tre: pochi minuti di scavo e siamo oltre. Ci ritroviamo in piedi in una galleria che si sviluppa sia a monte che a valle. La seconda opzione è decisamente più invitante, e vengo abbandonata ad allargare il passaggio in strettoia mentre gli altri corrono avanti. La galleria prosegue in netta discesa fino ad un saltino di pochi metri scampanante. Carlo ci si butta senza esitazione e senza minimamente preoccuparsi del ritorno, l’ambiente è grande, l’aria netta, e poco dopo si ferma alla partenza di un ampio P15.

La nostra avventura per oggi si conclude qua, ancora una volta di fronte all’incognita di un pozzo che cela chissà quale esplorazione. Il Ramo dello Scacciapensieri giunge a 115 metri di profondità e porta lo sviluppo della grotta ad oltre 700 metri. Usciamo alle prime ore del mattino, il pendio di Mamalia è spazzato dal vento e nel cielo risplende una magnifica stellata.

 

FONDO A -151

(6-7 Agosto 2007)

L’idea del nuovo pozzo ci attrae a tal punto che il primo giorno del Campo InGrigna 2007 decidiamo di entrare in Mamalia. Siamo Marzio, Antonio ed io, accompagnati da Massimiliano Gerosa.

Raggiungiamo in breve tempo il limite esplorativo ed armiamo il saltino da cui Carlo si è letteralmente “buttato”. Il nuovo pozzo ci appare ampio, davvero invitante. Antonio procede in testa, in esplorazione, e lo scende per 18 metri, fino ad atterrare su una comoda cengia. Oltre i suoi piedi si apre una nuova verticale. Mentre lui si dedica ancora una volta all’armo, Marzio risale qualche metro e scopre una bella, ampia galleria. La percorre fino all’orlo di un pozzetto, quindi torna indietro ad annunciarci la scoperta.

Intanto Antonio è giunto al fondo del nuovo pozzo: 22 metri. Risale su una montagnetta d’argilla, oltre si apre un nuovo pozzo di otto metri ed atterra in una bella saletta. Qui ci riuniamo tutti. Un masso incastrato blocca l’unica prosecuzione possibile, un interstrato in forte pendenza. Al lavoro ci dedichiamo Massimiliano ed io, e fortunatamente ci bastano pochi minuti per sbloccare il passaggio e la situazione. Oltre l’ambiente si allarga e ci conduce in una saletta dal pavimento ingombro di massi di frana. Qui ogni tentativo si rivela vano. A 151 metri di profondità termina la storia della nostra esplorazione in questo ramo.

 

A metà settembre tornano Antonio e Marzio che in una pesante punta verificano tutti i punti di domanda lasciati in sospeso - senza scoprire grosse novità - e disarmano la parte più profonda del ramo, rilevando un centinaio di metri circa. La settimana successiva invece Antonio ed io scendiamo di nuovo sotto al P17 “Volere Volare” e scopriamo finalmente la via del fondo raggiunto  dai milanesi, constatando ancora una volta che l’ambiente è molto più complesso di quanto riportato nel vecchio rilievo.

 

RAMO “FLEBILE CORDA”

(29-30 Settembre 2007)

Ha piovuto tutta la settimana ed al telefono Mariangela mi ha avvisato che all’altezza del rifugio Bogani ci sono ben 60 centimetri di neve! Il sabato mattina, quando mi sveglio, piove ancora. Mi ritrovo al Cainallo con Marzio, Corvo e Antonio verso l’ora di pranzo, ma continua a piovere. Indugiamo parlando di questo e di quello, e finalmente nelle prime ore del pomeriggio una breve schiarita e le insistenze di Marzio ci spingono a partire verso l’alto. Fa freddo, la Grigna si presenta con un abito decisamente invernale ed il cielo mantiene tonalità plumbee.

Incontriamo la neve subito sopra la Porta di Prada, adesso ci tocca anche aprirci la strada ed io raggiungo l’ingresso della grotta praticamente in ginocchio dato che ogni due passi scivolo sul pendio… Per me - che da sempre odio la neve e la montagna in condizioni invernali - l’entrata in Mamalia rappresenta un sospiro di sollievo. La grotta è in condizioni pessime, ogni passaggio è bagnato, dal soffitto e dalle pareti lo stillicidio scende copiosissimo. Recuperiamo dei materiali lasciati nella sala dei Rami dello Scacciapensieri ed iniziamo vari lavori, ma l’acqua ci impedisce di portarli a termine. Alla fine decidiamo di dedicarci all’unica operazione “asciutta” che la grotta ci consenta: la promettentissima risalita del salone dei Rami “Sono sempre loro!”, quella dove risale quasi tutta l’aria di Mamalia. L’impresa è portata a termine in tempo record da Corvo, che raggiunge un ampio terrazzo una decina di metri sopra le nostre teste e pianta un fix per consentire a Marzio di raggiungerlo ed armare per noi. Un’ampia galleria parte orizzontale e tondeggiante. La percorriamo rilevando - sembra di essere nelle condotte di I Ching - e tralasciamo un pozzo sulla destra. D’improvviso l’ambiente esplode: un’enorme faglia ha intercettato trasversalmente la galleria che abbiamo percorso ed ora la grotta si sviluppa sia in salita, tra enormi blocchi di frana in equilibrio precario, che in discesa. L’inclinazione del pavimento è accentuata, le pareti distano tra di loro più di dieci metri ed insieme ai compagni mi lascio scivolare frenando con i piedi come se stessi andando su uno scivolo! Questo è il mistero che Mamalia custodiva tanto gelosamente, un segreto per la grotta, un sogno per noi… Ci ritroviamo in un’ampia sala, qui un’enorme frana ha bloccato ogni possibilità di prosecuzione. Battezziamo il nuovo ramo “Flebile Corda” in onore al romanticismo che traspare dagli articoli del Giovane Marconi.

 

Ed insieme a questa esplorazione, termina anche il mio racconto. Attualmente la grotta supera di gran lunga i 1400 metri di sviluppo e le sue potenzialità sono ancora molto elevate. Mamalia per me è stata l’esplorazione più bella dell’estate 2007, anche perché è nata dal caso, proprio non ce l’aspettavamo. Ci ha regalato scomode strettoie fangose ma anche ampie gallerie fossili, frane instabili e pericolose ma anche pozzi dal calcare stupendo…Ci ha abbagliato con cristalli perfetti di calcite  e ci ha affascinato con bianchissime pisoliti, le cosiddette perle di grotta.

Credo che chiunque fosse entrato in Mamalia per revisionarla o anche solo per fare un giro, avrebbe preso la finestra sul P17 da cui è partita tutta l’esplorazione. Chiunque avrebbe potuto farlo prima. Invece per anni Mamalia ha aspettato ignorata da tutti finchè una grigia domenica di giugno tre speleologi curiosi sono arrivati a farle visita, e lei ha mostrato loro i suoi segreti…