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Letteratura SpeleoRacconti di esplorazioni dai protagonisti

MINI-CAMPO INGRIGNA 2007: VERTIGINI!

Di Luana Aimar e Marco Corvi

 

Quest’anno, tra la fine di Aprile e l’inizio di Maggio, complice un inverno dalle temperature eccezionali ed un calendario propizio, siamo riusciti ad organizzare un breve campo di quattro giorni in Grigna, cui hanno partecipato elementi di Speleo Club Erba, Gruppo Grotte Saronno e Gruppo Grotte Milano. L’attività ha avuto come base il rifugio Bietti e si è incentrata soprattutto sulla regione sommitale della verticale parete occidentale del Sasso dei Carbonari, scelta che giustifica il soprannome “Vertigini!” attribuito al campo stesso. Due i principali lavori portati a termine: la discesa integrale della Finestra di Sengg e l’esplorazione di un notevole pozzo ad essa sottostante. La Finestra di Sengg è un immenso traforo verticale dei Carbonari: si apre alla sommità della montagna e si approfondisce con un vertiginosissimo pozzo scampanante che alla sua base sbocca con una seconda finestra in piena parete, in corrispondenza di un considerevole tetto. Poche decine di metri sotto, esattamente sulla verticale del traforo e sulla stessa fessura, un notevole scavernamento permette di accedere al nuovo pozzo, il P85 “Travolti da una insana passione”. Di seguito la storia delle esplorazioni.

 

LA FINESTRA DI SENGG

(28-29 Aprile 2007)

Via del Buco.

Itinerario di modesto rilievo, ma di discreto sviluppo, che sale all'estremo limite destro della parete S, verso il Sasso dei Carbonari, mirando a una cavità naturale posta circa a metà parete. La roccia è friabile. In via 2 chiodi. Necessari vari chiodi extra-piatti e dadi. Sviluppo: 530 m, di cui 300 m di zoccolo. Difficoltà: VI e A1 o 6a+. [da E. Pesci, Guida ai Monti d'Italia - Le Grigne, CAI TCI, 1998, p. 481]

Il ponte del Primo Maggio è ancora presto per la Grigna alta e si organizza un minicampo di ricerca cavità in zona Sasso dei Carbonari, con base il rifugio Bietti.  Uno degli obiettivi è la verifica della "Finestra di Sengg", un grosso traforo naturale che parte a metà di una parete di 300 m. 

Noi non siamo alpinisti, e procediamo con un approccio speleologico: cioè scendiamo nel traforo armando dall'alto, per la via diretta.  Così mi ritrovo appeso a questa parete, con un sacco pieno di corde in spalla: la roccia è davvero friabile, e per evitare che il sacco sbattendo scarichi sassi, lo porto in spalla.  Sotto di me, Andrea (Maconi) sta armando la discesa.  Il primo tratto è stato abbastanza brutto da armare, per la difficoltà di trovare solide placche, e per la quantità di sassi e massi instabili che ha dovuto scaricare nel pozzo prima di scendere.

Il sole riscalda la valle e la parete del Sasso di Sengg, e, attraverso il buco, sale una bella corrente d'aria calda. I gracchi, che abitano il buco, disturbati dalla nostra incursione, volano liberamente portati dalla termica. Nel tratto alto, soleggiato, si sta bene con tuta senza sottotuta, ma solo una maglietta. Dentro al foro, non più riscaldati dal sole, invece fa freddo.

Nell'ultimo tratto intercettiamo la via alpinistica marcata da alcuni  vecchi chiodi da roccia, infissi in fessure.  La roccia è anche più buona e compatta e l'armo risulta più spedito.  L'ultimo tiro è nel vuoto, in mezzo alla finestra, con il Lario e Mandello sullo sfondo.

Alla base ci ritroviamo in mezzo ad una grossa frattura, in fondo alla quale, sopra un cumulo di blocchi più o meno coperti da humus, escrementi di gracchio, e muschio, si intravede del nero.  La risalita sui blocchi è abbastanza semplice, e il nero risulta essere veramente una cavità. Purtroppo riusciamo ad entrarvi solo per una decina di metri e dobbiamo fermarci sull'orlo di un pozzetto di pochi metri per mancanza di materiali (corde e piastre).  Da quel poco che si è visto è difficile dire se non sia solo tettonica.  Risalendo rileviamo e disarmiamo. (Marco Corvi)

 

TRAVOLTI DA UNA INSANA PASSIONE

(28 e 30 Aprile 2007)

Sono in piedi sulla roccia. Davanti a me Carlo danza già nel vuoto e si ingegna con le ultime corde rimaste nel tentativo di armare il traverso che dovrebbe condurci allo scavernamento del pozzo inesplorato, una cinquantina di metri alla sua destra. Dietro vedo invece Antonio, ancora con i piedi per terra, fare il censimento dei materiali di cui ancora possiamo disporre. D’un tratto sento un rumore assordante, un boato sembra riempire tutta l’aria - istintivamente mi butto a terra e mi appiattisco contro la roccia - quindi un tonfo fragoroso, e di nuovo il silenzio. Un grosso sasso si è staccato duecento metri sopra le nostre teste, ha attraversato come un proiettile l’intero traforo di Sengg e si è schiantato su un ampio terrazzo venti metri sotto di noi, frantumandosi in mille pezzi. Mi rialzo: anche Antonio si è gettato a terra, mentre Carlo - complici i suoi problemi di udito - ha continuato imperterrito a lavorare. Ben presto però ci grida che da quella parte non ci sono speranze, la roccia è marcia, il traverso troppo lungo. Bisogna per forza scendere al terrazzo dove si schiantano tutti i sassi e da lì salire arrampicando fino allo scavernamento del pozzo… Lo guardiamo senza rispondere. Ma come ci siamo arrivati in questo luogo tanto disgraziato?

La nostra storia comincia in una soleggiata giornata primaverile del 2005. Il Giovane Marconi vaga in Grigna alla ricerca di  nuovi ingressi ed intanto scatta fotografie. Fotografa anche la parete dei Carbonari e scorge quelli che sembrano essere degli invitanti ingressi…Ci manda le fotografie un giovedì sera al CAI via e-mail, e naturalmente polarizza l’attenzione della serata e ciascuno dice la sua circa la via migliore da seguire per raggiungere quegli aerei buchi.

Qualche giorno dopo veniamo a sapere da Conan che sulla parete era stata tracciata una via d’arrampicata estrema che passava addirittura all’interno della Finestra di Sengg! Arrampicatori esperti avevano ripetuto la via in seguito e narrato che prima di affrontare il tetto che porta all’interno della Finestra si erano riposati in un nicchione percorso da aria fredda. Lo scavernamento immetteva direttamente in un nero e ampio pozzo, di profondità ignota, dove loro si erano divertiti a gettare le loro lattine vuote prima di riprendere ad arrampicare…

Ormai la bomba era esplosa! Sul Sasso dei Carbonari c’era da esplorare e gli ingressi erano già aperti, bastava soltanto…raggiungerli! Non che fosse cosa da poco per degli speleologi! La prima uscita viene fatta quello stesso Settembre da Carlo in perfetta solitaria. Il nostro, poco per volta, arrampica armando la via con corde fisse. Spesso è sotto al tiro dei sassi e le corde lesionate ci parlano della pioggia particolare che martella questa parete. Quel giorno, arrampicando, inaspettatamente Carlo s’imbatte in una vecchia dinamica - all’apparenza abbandonata da anni - che pende dall’alto. Ne approfitta e risale su di essa per qualche decina di metri fino a scoprire tutta la sua incoscienza: proprio alla partenza della corda una sassata l’ha ridotta a due trefoli soltanto!

Pochi giorni dopo è il turno del Giovane Marconi, che riesce ad individuare la via d’accesso al canalone e a giungere in poco tempo  e con ancor meno corde ad una cinquantina di metri dalla zona prefissata, senza tuttavia raggiungerla.

Le arrampicate dal basso di Carlo continuano anche in compagnia di Gerod e finalmente nell’Agosto del 2006 i nostri due eroi giungono in corrispondenza di un ampio terrazzo, poco sotto lo sbocco della Finestra di Sengg. Una ventina di metri sopra le loro teste un giunto di strato nettissimo taglia obliquamente la parete ed in un punto origina un ampio scavernamento. Carlo lo raggiunge arrampicando, dà una rapida occhiata, quindi assicura Gerod. Finalmente i due si affacciano su un pozzo ampio e nero, percorso da una nettissima corrente d’aria, ed il sasso lanciato nel vuoto sembra gridare “cento, cento, cento…”. I due decidono comunque che è troppo pericoloso raggiungere il pozzo arrampicando dal basso, ma notano che una cinquantina di metri alla loro sinistra un canalone sassoso, ma non molto inclinato, conduce a dei ripidi pratoni. Quello è il punto debole, ed alla fine si rivela essere la via già tentata dal Giovane Marconi! 

E proprio in questo punto ci troviamo circa sei mesi dopo Carlo, Antonio ed io, decisi, nonostante la pioggia di pietre, a traversare gli ultimi cinquanta metri di parete e a scendere il pozzo.

Torniamo a completare il lavoro un paio di giorni dopo, accompagnati anche dal Giovane Marconi. Carlo scende armando e raggiunge il terrazzo su cui lui e Gerod erano già arrivati arrampicando dal basso. Quindi, assicurato da Antonio, arrampica di nuovo fino allo scavernamento ed arma per noi. Comincia a piovere ed uno alla volta raggiungiamo rapidamente il nostro compagno: ogni minuto trascorso sul terrazzo è una sfida ai sassi che frequentemente si staccano dall’alto e vi si schiantano come proiettili. Solo ad entrare nello scavernamento cambia la temperatura, perché l’aria che arriva dal pozzo è veramente gelida. Fuori la pioggia aumenta e proporzionalmente ad essa anche il bombardamento dei sassi. Battezziamo il nuovo pozzo Travolti da una insana passione. “Speriamo di non dover cambiare il nome in Travolti da una sassata!” commenta il Giovane Marconi.

Carlo fila nel sacco una corda da 100 metri e, trapano alla mano, comincia a scendere assistito da Antonio. Seguiamo a breve distanza io e il Giovane Marconi, occupati nel rilievo. La partenza del pozzo è grande, ma dopo pochissimi metri si amplia ancor di più fino ad un diametro di 10x20 metri. Anche se non si perde mai il contatto con la parete, la sensazione di vuoto è enorme. Scendiamo in verticale per una decina di metri, fino ad un ampio, viscidissimo terrazzo sassoso, oltre il quale si spalanca una enorme bocca nera. Carlo attraversa il terrazzo per l’intera lunghezza, quindi riprende a scendere in verticale. A questa altezza, esattamente sulla parete opposta a quella su cui stiamo scendendo, si apre un’ampia finestra che sembra promettere grandi esplorazioni. Ma dista almeno venti metri in linea retta da noi!

Quando viene il mio turno, mi porto sul bordo del terrazzo e mi lascio scivolare nel vuoto. Sotto ai miei piedi il nero è talmente fitto che sembra volermi mangiare! Antonio e Carlo si trovano alcuni frazionamenti sotto di me ed appaiono piccini, piccini. Scendo. Le pareti diventano verticalissime, assolutamente lisce. “Speriamo che basti la corda!” urla Carlo dal basso. Poi, alcuni minuti dopo, ci grida il libera. Supero gli ultimi frazionamenti e tocco terra in una saletta lunga 6-7 metri e larga 5. Il nostro immenso pozzo finisce così! Ultimo atterra il Giovane Marconi che, mettendo insieme gli ultimi tiri di rilievo, ci annuncia che Travolti da una insana passione è un bel salto di 85 metri. Tra i sassi del pavimento occhieggiano due lattine di alluminio schiacciate, un tempo contenevano della Fanta. Ne prendo una in mano: gli alpinisti che le hanno lanciate si immaginavano che un giorno qualcuno sarebbe arrivato fin quaggiù e le avrebbe ritrovate?

Intanto Carlo, sempre assistito dal fedelissimo Antonio, risale di qualche metro in un ambiente parallelo. Percorre pochi metri in orizzontale, quindi intraprende una seconda breve risalita. Ma ormai è l’ultimo tentativo: la nostra esplorazione si arresta qui, anche l’aria dell’ingresso ci ha abbandonati ormai da un pezzo. La grotta prosegue sicuramente, e la via passa nella finestra dall’altra parte del pozzo. L’esplorazione a chi avrà l’ardire di raggiungerla.

Prima di risalire mi soffermo nel punto dove giacciono le lattine abbandonate, indecisa se riportarle all’esterno. In fondo però fanno parte della leggenda del luogo, e le lascio dove sono (Luana Aimar).